Polillo Mario Stefano

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Le opere di Mario Polillo sono dei calibrati lavori di composizione fotografica per realizzare i quali il corpo della donna e il dettaglio, che spiazzano il riguardante attirandole nelle scatole prospettiche immaginate per sedurlo, impregnate di calde atmosfere umorali nelle quali il corpo della donna ne rappresenta la sostanza e, insieme, la necessità e il sogno. Ne consegue che si tratta di un oggetto del desiderio per il fatto di essere rappresentato in modo tale che l’elemento figurale non è che la proiezione, o sublimazione, delle pulsioni sottostanti all’atto percettivo, il quale a sua volta non è che la sintesi e la somma di tutte le esperienze sensoriali. Per questo ciò che promana dalle opere di Mario Polillo è quel certo quid, quella carica, l’energia di una forza prorompente che si pone come un mistero e che è legata, per il suo estrinsecarsi, a quell’altro quid, a quell’altro inequivocabile mistero che è il fascino del corpo femminile. Da un punto di vista puramente pittorico l’impianto delle opere è di stampo iperrealista, e non poteva essere altrimenti, considerato l’oggetto precipuo della rappresentazione. L’occhio, in sostanza, vede e fotografa, ma la realtà impressa nella retina dell’artista va poi dipinta come studiata. Solo, la pennellata, lo scarto del segno e il colore, unitamente alla messa a fuoco del dettaglio che aumenta la spinta pulsionale verso l’oggetto, forse possono inserire qualcosa in più, ancora, che sia in grado di correre o accelerare i sensi nella direzione voluta. Mario Polillo tenta l’aggancio, allora, tra realtà e immaginazione, tra fotografia e arte, e ci riesce nella misura in cui le sue figure prendono a vivere di vita propria, staccandosi, magari, dalle muse inquietanti che le hanno ispirate per muoversi in luoghi che circoscrivono altri spazi, magari non ancora o non sufficientemente perlustrati, come quelli importanti della nostra sfera vitale, fisica e psichica. Probabilmente è questo il pregio maggiore dei suoi lavori, per alcuni dei quali si può sufficientemente affermare che si tratta di soglie, linee di confine sulle quali si arresta la realtà della vita in vista di altri spazi oltre i quali si prospetta un’altra realtà che anche quando non sappiamo rappresentarcela correttamente ci riguarda intimamente perché afferisce al nostro intimo modo di essere, che non possiamo né trascurare né reprimere. D’accordo, guardando le opere ci si accorge subito che si tratta di un mondo assolutamente irreale com’è, d’altra parte, tutto il mondo figurato che appartiene all’arte, che ha il compito specifico di ingannare dicendo la verità. Tuttavia si tratta di un mondo, anzi di un universo che ci attrae e nel quale vorremmo immetterci correndo, come quando guardiamo un tramonto lontano e pensiamo che quello sia il luogo della nostra felicità. La pittura, allora, ha raggiunto il suo scopo, e Mario Polillo ci ha donato un attimo, un solo istante di eternità – il particolare di un collant, di un vestito odi una calzatura – si amalgamano fino a raggiungere l’unicità, in alcuni casi l’esclusività, di una felice condizione erotica,capace, cioè, di trascendere lo stesso soggetto rappresentato, la donna, e lievitare in una situazione di alterità che coinvolge i sensi fin quasi a stordirli o annullarli, come un bacio. Ciò è dovuto in gran parte all’effetto scenico sorprendente e aiparticolari scorci delle figure rappresentate, di primissimo piano.

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