Patané Francesco

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Francesco Patanè, romano, classe 1986, si forma al “Corso di paesaggistica” presso la Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni de La Sapienza, ma ben presto sviluppa uno stile originale che lo porta, piuttosto che a progettare, a dipingere, discostandosi nettamente dalle tecniche pittoriche consuete. La sua passione per l’arte inizia tra le mura domestiche, dove la creatività è di casa, lo zio era un pittore e uno scultore, la madre una disegnatrice, stilista e gli ha trasmesso sin da subito l’amore per l’arte. Una parte significativa, però, la occupa il suo primo professore di arte delle scuole medie, che apprezzando i suoi lavori ha incoraggiato la sua vena artistica. Artista eclettico si diletta anche nella musica, per pura passione. Dichiara l’artista: “Il mondo dell’arte mi ha sempre affascinato anche se gli ostacoli della vita mi hanno messo di fronte ad una scelta obbligata. Per motivi economici non ho potuto proseguire gli studi accademici”.Due elementi, soprattutto, concorrono a generare un senso di armonico scompiglio dall’insieme delle opere. Il primo: corde colorate che sembrano avvolgere ogni cosa, come se la realtà non fosse un prodotto arbitrario del libero gioco del caso, ma di leggi trascendenti ancorché misteriose e, in quanto tali, tendenzialmente perturbanti. La stessa realtà che, osservata nelle sue strutture microscopiche, mostra quasi ovunque una tessitura che evoca la trama del DNA: filamenti simili ad alghe marine o, qui e là, a stalagmiti. Emana dall’insieme un’impressione complessiva di caos ben governato, rafforzata poi (questo il secondo elemento) dai colori adoperati: il bianco algido – ad esempio – sembra alludere ad un remoto paesaggio lunare, ma troviamo anche il rosso vivo, il giallo solare, il blu acceso ed anche il nero. In conclusione: l’uso del colore, che dovrebbe consentire all’artista, secondo le intenzioni dichiarate, di liberare l’istinto per affrancarsi sostanzialmente da un pregresso esprit de geometrie, in realtà sembra istituire un originale equilibrio tra il “vincolo geometrico” e un suggestivo anarchismo cromatico sottratto al controllo della “ragione regolativa”. Si intuisce ancora, a ben guardare, il richiamo (il bisogno?) di una regola ordinatrice nella sovrapposizione e stratificazione dei colori. Del resto, è lo stesso artista a dichiarare l’intento di voler pervenire ad una “riaggregazione di quelle stesse carte attraverso un ordine compositivo inedito”, dove la ricerca di un ordine non cessa di ispirare una pittura pur voluta, nei suoi più recenti esiti, come “libera, istintiva ed esplosiva” Ma proprio in questa tensione tra libertà e ordine, tra istintività e razionalità, risiede il fascino di questa collezione, il cui segno distintivo sembra in sintesi consistere nella ricerca (non ancora conclusa, per ammissione dello stesso autore) di un equilibrio tra “caso” e “necessità” come essenza del mondo e dove, tuttavia, l’arte rimane pur sempre una produzione di senso, una poiesis che usa come tramite i suoi diversi linguaggi. (Sonia Giovannetti) adroid