Carla De Angelis

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4.0

La tela che si apre davanti ad una composizione di fotografie, libri, tessuti rivela oggetti di una vita quotidiana ormai passata ma la cui immagine così nitida ha l’effetto di richiamare in vita delle sensazioni provate, importanti quanto le notazioni preziose in oro o argento. E’ curioso riconoscere tra i vari oggetti quelli che sono appartenuti ai nostri rifugi domestici dove si sono avvicendate diverse generazioni: un libro è quello che leggeva la mamma, il costume da bagno di alcune ragazze è quello di una zia, l’orologio è simile a uno della nonna. Essi risvegliano le emozioni di atmosfere protette dove un solo soprammobile poteva palesare la presenza umana. Queste tele si inseriscono nella tradizione figurativa delle “nature morte”: gli oggetti dimessi del viver quotidiano raccontano la vita attraverso i messaggi raccolti dai sensi: l’odore, l’apparenza visiva, la sensazione tattile, nel segno di un linguaggio umile e attento. E’ naturale richiamare alla memoria un brano di Marcel Proust nel quale lo scrittore rivive il passato attraverso il sapore di un biscotto immerso nel thè: ” Certo, ciò che palpita così in fondo a me dev’essere l’immagine, il ricordo visivo che, legato a quel sapore tenta di seguirlo fino a me. Ma si agita in modo troppo confuso; percepisco appena il riflesso neutro in cui si confonde l’inafferrabile turbinio dei colori smossi; ma non so distinguere la forma, né chiederle, come al solo interprete possibile, di tradurmi la testimonianza del suo contemporaneo, del suo inseparabile compagno, il sapore, chiederle di rivelarmi di quale circostanza particolare, di quale epoca del passato si tratti. Toccherà mai la superficie della mia piena coscienza quel ricordo, l’attimo antico che l’attrazione d’un attimo identico è venuta così di lontano a richiamare, a commuovere, a sollevare nel più profondo di me stesso? … chi sa se risalirà dalle sue tenebre ? … E ad un tratto il ricordo m’è apparso…”. Pazientemente Carla De Angelis ha raccolto qualche fotografia e l’ha unita ad oggetti messi fianco a fianco, riprodotti nella loro vera apparenza con le scollature di un dorso, gli sfilacci di un merletto, qualche piccola imperfezione dovuta all’uso e agli anni. Non c’è stata inclemenza né distrazione nella resa della realtà, non c’è ambizione di riproporre il passato, piuttosto di stregare un attimo. Le tele rappresentano una realtà di colori, forme, superfici e suoni che sono rapiti fotograficamente, come nel solco della tradizione della natura morta, genere che è interpretato come simbolo del monito biblico: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Infatti, questo genere pittorico invita a riflettere sulla transitorietà della vita e sulla necessità di pervenire alla saggezza, ma in queste immagini non c’è né pessimismo, né rimorso, né nostalgia. L’artista percepisce un lento, inesorabile decadimento della materia che non può che produrle una lieve malinconia: è l’accettare la legge della vita e un parteciparvi con un’adesione sensoriale e totale. Ogni attimo è straordinariamente gratuito e ad esso non può che aderire che con tutto il suo sé, perciò al sorriso di una ragazza che prende il sole l’artista non può che sorridere, alla visione di una calda coperta non può corrispondere che un senso di rilassamento e di riposo. E’ questo ascolto sensoriale che produce una totale libertà.