Agnetti Vincenzo

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Vincenzo Agnetti si diploma all’Accademia di Brera e segue la scuola del Piccolo Teatro di Milano. Esordisce alla fine degli anni Cinquanta in ambito della pittura informale e della poesia. Collabora con Enrico Castellani e Piero Manzoni alle attività della Galleria Azimut, aperta a Milano fra il 1959 il 1960, e della rivista Azimuth, con la pubblicazione di Non commettere atti impuri nel primo dei due numeri che saranno stampati. Nel 1962 si trasferisce in Argentina per lavorare nel campo dell’automazione elettronica. In quel periodo, chiamato dall’artista liquidazionismo o arte no (rifiuto di dipingere) spariscono le sue produzioni “pre-artistiche“. Nel 1967 tiene la prima personale (Principia) al Palazzo dei Diamanti a Ferrara. All’attività artistica affianca una intensa attività di saggista, scrittore e teorico.[1] Vincenzo Agnetti muore improvvisamente per emorragia cerebrale nel 1981, colto ancora nel pieno della sua attività.[2] Tra i critici che hanno scritto di lui ricordiamo Renato Barilli, Achille Bonito Oliva, Dino Buzzati, Maurizio Calvesi, Luciano Caramel, Flavio Caroli, Bruno Corà, Gillo Dorfles, Maurizio Fagiolo, Paolo Fossati, Marco Meneguzzo, Daniela Palazzoli, Pierre Restany, Italo Tomassoni, Tommaso Trini e Giorgio Verzotti.